venerdì 26 settembre 2008

Hilo






Da quanto dice MAX, si aggira un nuovo sceriffo a Roma........

mercoledì 24 settembre 2008

Vacanza da ricchi!



...Che immagini! ^^^^

Dal sito Corriere della Sera/Immagini

mercoledì 17 settembre 2008

Perchè l'HOT DOG si chiama così?


L'hot-dog nacque da un ' invenzione di un americano che distribuiva panini alle enorme folle accalcate nello stadio dove si disputavano le partite di football americano. In quel periodo il wurstel caldo era molto di moda , ma complicato da distribuire nelle tribune dello stadio, allora il signor Stevens ebbe l'idea di riscaldare dei lunghi panini e di infilarvi la salsiccia. All' inizio furono chiamati "red- hots", perché insieme alla salsiccia riscaldata Stevens aveva messo uno strato di senape piccante. Poi nel 1903, il disegnatore di vignette sportive "Tad" (T.A. Dorgan ) fece un disegno che raffigurava un bassotto al posto del wurstel dentro il panino, giocando sul fatto che ambedue erano lunghi, rossi, e tedeschi. Fu lui a coniare il nome hot-dog e l'espressione diventò molto popolare. Purtroppo, qualcuno insinuò il dubbio che ci fosse veramente carne di cane nelle salsicce e la faccenda diventò talmente drammatica che la Camera di Commercio fu costretta a bandire il termine "hot-dog" da qualunque tipo di pubblicità. Un nome così azzeccato non poteva certo scomparire dalle scene e infatti ancora oggi si usa in tutto il mondo.

martedì 16 settembre 2008

L'estate sta finendo...

Artista: Kid Rock
Album: Rock N Roll Jesus
Titolo: All Summer long

It was 1989, my thoughts were short my hair was long
Caught somewhere between a boy and man
She was seventeen and she was far from in-between
It was summertime in Northern Michigan
Ahh Ahh Ahh
Ahh Ahh Ahh
Splashing through the sand bar
Talking by the campfire
It’s the simple things in life, like when and where
We didn’t have no internet
But man I never will forget
The way the moonlight shined upon her hair
[Chorus:]
And we were trying different things
We were smoking funny things
Making love out by the lake to our favorite song
Sipping whiskey out the bottle, not thinking ’bout tomorrow
Singing Sweet home Alabama all summer long
Singing Sweet home Alabama all summer long
Catching Walleye from the dock
Watching the waves roll off the rocks
She’ll forever hold a spot inside my soul
We’d blister in the sun
We couldn’t wait for night to come
To hit that sand and play some rock and roll
While we were trying different things
And we were smoking funny things
Making love out by the lake to our favorite song
Sipping whiskey out the bottle, not thinking ’bout tomorrow
Singing Sweet Home Alabama all summer long
Singing Sweet Home Alabama all summer long
Now nothing seems as strange as when the leaves began to change
Or how we thought those days would never end
Sometimes I’ll hear that song and I’ll start to sing along
And think man I’d love to see that girl again
[Repeat Chorus x2]
Singing Sweet Home Alabama all summer long
Singing Sweet Home Alabama all summer long
Singing Sweet Home Alabama all summer long
Singing Sweet Home Alabama all summer long



Traduzione testo Kid Rock “All Summer Long”
Tutta l’estate
Era il 1989, i miei pensieri erano corti e i miei capelli erano lunghi,
intrappolato da qualche parte tra un uomo e ragazzo
lei aveva 17 anni ed era ben lontana dall’essere nel mezzo.
Era estate nel nord del Michigan
ahh ahh ahh
ahh ahh ahh
gli spruzzi atrraverso la sabbia
parlando del fuoco
è una cosa semplice nella vita come dove e quando
non avevamo internet
ma non dimenticherò mai
il modo in cui la luce della luna rifletteva sui suoi capelli
e noi provammo cose diverse
e fumammo cose divertenti
facendo l’amore in riva al lago sulla nostra canzone preferita
bevendo whiskey dalla bottiglia non pensando al domani
cantando sweet home Alabama tutta l’estate
cantando sweet home Alabama tutta l’estate
recuperando la Walleye dalla darsena
guardando le onde scrosciarsi tra le rocce
lei avrà sempre un posto nella mia anima
staremo al sole
non potremo aspettare che venga la notte
per colpire la sabbia e suonare del rock and roll
mentre noi provammo cose diverse
e fumammo cose divertenti
facendo l’amore in riva al lago sulla nostra canzone preferita
bevendo whiskey dalla bottiglia non pensando al domani
cantando sweet home Alabama tutta l’estate
cantando sweet home Alabama tutta l’estate
adesso niente sembra tanto strano quanto le foglie che iniziano a cambiare
o come noi pensavamo che quei giorni non sarebbero mai finiti
a volte ascolto quella canzone e inizio a cantarla
e penso dio vorrei rivedere di nuovo quella ragazza.
ritornello 2 volte
cantando sweet home alabama tutta l’estate
cantando sweet home alabama tutta l’estate
cantando sweet home alabama tutta l’estate
cantando sweet home alabama tutta l’estate

venerdì 5 settembre 2008

Bella canzone!

Artista: Kid Rock
Album: Rock N Roll Jesus
Titolo: Roll On

Mmmm
I love it when you play it like that
Come on... Play

Sittin' here alone I'm lookin' back on where I've roamed
And laughing how I swore I'd win and not get burned
Left my family
Left my home
I worked my fingers to the bone
And there was not a stone I did not leave unturned
And I was havin' a good time

Roll on Roll on Roller Coaster
We're one day older and one step closer
Roll on there's mountains to climb
Roll on we're on borrowed time
Roll on Roller coaster
Roll on tonight
Roll on tonight yeah

Money and success
I don't complain about the stress
I wanted this and now it's here
So I don't bitch
And I swear that time's a trick
It disappears in oh so quick
Man I was just sixteen
And now I'm starin' at thirty-six
But I'm still havin' a good time

Roll on Roll on Roller Coaster
We're one day older and one step closer
Roll on there's mountains to climb
Roll on we're on borrowed time
Roll on Roller coaster
Roll on tonight
Roll on tonight

And I know it's hard to see with the sun in your eyes
But one day you're gonna say I saw the light

And now headin' for the hill
And I just cannot wait until
My children grow up to have children of their own
And I'll be telling them about
The times I turned the party out
And how I stood against an army all alone
Drinkin' wine and stayin' high
And realized it couldn't last
And how I turned myself around
And went down another path
And the signs we must observe
When life's changes do occur
But most of all I'll tell them
Just how proud I am of them
And always have a good time
It's all love and good times
Let's all have a good time Yeah

Roll on Roll on Roller Coaster
We're one day older and one step closer
Roll on there's mountains to climb
Roll on we're on borrowed time
Roll on Roller coaster
Roll on tonight
Roll on tonight

mercoledì 3 settembre 2008

Google new browser



CHROME

L'italiano ai tempi degli sms

Vent’anni fa la minaccia erano il burocratese odiato da Italo Calvino e l’anglitaliano che storpiava tutto. Ora l’allarme è più sottile: scrittori che inseguono il parlato e un dialogo fatto di consonanti, in formato telefonino



Se permettete inizio questa inchiesta sulla lingua italiana 2008 (come sta e dove va) dal mio nuovo telefonino che, quando suona la sveglia, mi propone due alternative: “Stop” o “Posponi”. La prima volta sono rimasto confuso o, come direbbe il commissario Montalbano (mia massima autorità linguistica), imparpagliato. “Posponi”? Poi ho capito che si trattava della seconda persona singolare del presente indicativo di posporre (mettere dopo, differire, posticipare): io pospongo, tu posponi, egli pospone... In redazione, facendomi le raccomandazioni di rito prima di cominciare l’inchiesta, mi avevano detto: «Stai attento ai telefonini, agli sms, è lì che sta nascendo l’italiano del futuro, è lì che scoprirai qualcosa di nuovo». E, invece, il “posponi” del mio telefonino mi ha riportato al passato, a vent’anni fa esatti quando, facendo un’altra inchiesta sulla lingua italiana, avevo scoperto che l’italiano correva due pericoli. Il primo era il burocratese, la lingua con cui lo Stato (o chi ne fa le veci) si rivolge ai cittadini. Il burocratese per me era simboleggiato da un cartello che avevo letto alla stazione di Firenze: “Questo sportello rimane impresenziato dalle 13 alle 15”. Ma non era più semplice dire che lo sportello rimaneva chiuso? No, il burocratese si spezza ma non si spiega. Aggiungo, anche se non c’entra nulla (apparentemente), che lo sportello in questione era risultato impresenziato anche a mezzogiorno e mezza. Il secondo pericolo per l’italiano del 1988 era racchiuso nelle due parole dell’insegna di un ottico milanese (“Occhial House”) e sintetizzava maccheronicamente il difficile rapporto con l’inglese. Vuoi vedere che, tra “posponi” e “Occhial House” (vent’anni dopo, l’insegna lampeggia ancora su viale Abruzzi a Milano), i problemi dell’italiano sono rimasti gli stessi di allora?

E IL BUROCRATESE NON MUORE
Ho sottoposto (e non posposto) i miei timori a due tra le massime autorità della linguistica italiana: i professori Gianluigi Beccaria e Luca Serianni. Beccaria, «il professore di italiano che tutti avremmo voluto avere», come dice Aldo Grasso, ha appena ripubblicato da Garzanti il suo indispensabile Per difesa e per amore (La lingua italiana oggi). Per quanto riguarda il burocratese il professore scuote la testa. La battaglia contro l’antiligua, così chiamava il burocratese Italo Calvino, è difficile da vincere. Il burocratese avanza. Conoscete qualcosa di meno burocratico della cioccolata? Bene, anche lei è stata colonizzata dall’antilingua. Il professore racconta di Gobino, il negozio di cioccolatini («il migliore che ci sia») vicino a casa sua a Torino: «Sembra di entrare in gioielleria, il negozio è di gran gusto, e mentre sei lì che aspetti e ammiri, e ti pare di essere in un altro mondo, vedi che, appiccicato al vetro del bancone, c’è scritto: “per chi vuol conoscere l’ingredientistica”. Ingredientistica?». Il professore è uscito di corsa dal negozio ma l’incubo non è finito. Perché, girato l’angolo, si è imbattuto in un distributore di sacchetti per “deiezioni canine”, poi in una “Scarpoteca”, quindi in una “Frullateria” e infine in un bar che reclamizzava: “Si effettuano panini”.

E la sindrome Occhial House come procede? Qui il peggioramento è netto. Ormai tutto si pronuncia all’inglese. Il catalogo, raccolto negli anni dal professore, è esilarante (e un po’ preoccupante). Troviamo steig per il francese stage, Thomas Men, per il tedesco Thomas Mann (e Walter Bengiamin, per Walter Benjamin, Bitoven per Beethoven), absaid per abside (di una chiesa), sain dai per sine die. Tutto ascoltato in tramissioni radiotelevisive e, purtroppo, anche in aule universitarie. Dice Beccaria: «Ogni manager o persona in carriera usa anglismi a gogò perché altrimenti potrebbe essere tacciato di scarsa professionalità. E anglismi snobistici e inutili si usano spesso coi sottoposti, fanno più professional». Il professor Luca Serianni sta lavorando con la società Dante Alighieri a un progetto ambizioso: un museo della lingua italiana. C’è un’ipotesi di massima che prevederebbe addirittura tre sedi (per le tre capitali che ha avuto l’Italia: Torino, Firenze e Roma). Il museo sarebbe la naturale conseguenza della grande mostra Dove il sì suona. Gli italiani e la loro lingua allestita a Firenze nel 2003. Nell’occasione fu pubblicato un librone-catalogo, La lingua nella storia d’Italia, a cura proprio di Serianni. La tesi della mostra e del volume? Questa: «L’italiano del Duemila è tuttora più simile a quello del Boccaccio (e cioè al dialetto toscano trecentesco) che non a un pidgin italo-inglese». E se l’italiano non è diventato un pidgin (cioè l’ibrido che nasce dalla contaminazione tra lingua internazionale dominante, lingua nazionale e dialetti locali), il merito della salvezza «è stato in qualche misura di Nicolò Carosio e di Mike Bongiorno, di Orietta Berti e di Liala». Calcio, tv, canzonette e romanzi rosa hanno reso possibile il passaggio del testimone linguistico nazionale dalle mani di Dante (e di Boccaccio e di Manzoni) alle nostre. Così è andata, senza falsi moralismi, assicura Serianni. Ma ora così non va più. Il professore lancia un allarme, oltre a quelli sul burocratese e sull’anglitaliano del collega Beccaria, che riguarda l’impoverimento del lessico: «Aggettivi come “faceto” o “inane” rischiano di essere ignoti a una parte consistentemente alta di giovani».

MEGLIO I GIORNALISTI CHE GLI SCRITTORI
E stavolta non ci salveranno più Carosio, Bongiorno, la Berti e Liala. «No, questa volta il problema è diverso. Allora, parlo degli anni Cinquanta e Sessanta, si trattava di conquistare un italiano di base, un italiano minimamente condiviso di fronte all’uso diffusissimo e spesso esclusivo del dialetto. Ora quell’italiano di base ce l’abbiamo». Capisco, professore, adesso il problema è che quell’italiano è un po’ anemico, carente lessicalmente. Ma in questi casi il rimedio classico non è quello di leggersi un buon romanzo nazionale? «Gli scrittori non sono più modelli linguistici. Ha presente l’incipit di Come Dio comanda, il romanzo di Niccolò Ammaniti: “Svegliati, svegliati, cazzo”. Gli scrittori non inseguono più un modello letterario, cercano di aderire al parlato». E quindi non abbiamo più modelli? «Secondo me i modelli ci sono ancora e io li consiglio spesso agli stranieri che vogliono migliorare il loro italiano». E cosa consiglia? «Di leggere i buoni giornalisti. Un fondo di Alberto Ronchey è perfetto in questo senso». Grazie professore, finalmente una buona notizia, finalmente una cosa in cui i giornalisti non sono colpevoli ma addirittura additati a modello. Recupero immediatamente in archivio un editoriale del professor Ronchey. È del 13 giugno 2008. «Prevedeva Leonardo Sciascia: “Andremo sempre più a fondo senza mai toccare il fondo”.

Ma forse, ora, si è toccato il fondo. Si può risalire? Per troppo tempo la politica italiana s’è dedicata a schermaglie di schieramento fra partiti e a contese ideologiche, trascurando i termini del generale dissesto. Tra i dati primari, oltre il debito pubblico e l’arretratezza delle infrastrutture, sarebbero da catalogare numerose questioni eluse finora, troppe. E chi se ne lamentava non era l’opposizione, ma la famosa voce del deserto. Voce che allora ha provato e oggi ancora prova stanchezza». Effettivamente una gran bella prosa, quella del professor Ronchey. Ma proprio leggendo questo suo editoriale mi torna in mente una vecchia convinzione. Non è l’italiano, come lingua, che sta male, nonostante gli sportelli impresenziati, i panini effettuati, i sain dai e gli Occhial House. A stare male è l’italiano come popolo. Ma questo lo sapete benissimo. Io avrei finito, dal punto di vista linguistico. I professori Beccaria e Serianni mi hanno tranquillizzato. La salute dell’italiano è accettabile. Ma in redazione sono invece apocalittici. Vogliono il grido di dolore, l’SOS, il risvolto inedito, il titolo da sparare. Io ci ho provato con la storia degli sms, delle mail, eccetera, che avrebbero rivoluzionato la lingua italiana. Ma i professori interpellati sono stati abbastanza pacifici sull’argomento. Hanno parlato di tachigrafia (bn = buonanotte, 10x = thanks, xiodo = periodo), ma non è una cosa grave. Insomma, nessuno scenario apocalittico. Quindi nessun titolo da scandalo per l’inchiesta.

Nessun codice rosso è scattato per salvare la lingua italiana. Avevo quasi rinunciato e stavo per arrendermi quando nella posta ho trovato l’edizione 2009 della storica Smemoranda. Non è mai stata solo un’agenda, questa premiata invenzione della ditta Gino e Michele & Co. È stata, sin dall’inizio, un piccolo rapporto Censis sui riti, i miti, i tic, i totem e i tabù delle nuovissime generazioni. Mi è bastato sfogliarla per capire che la mia inchiesta era lì. Era nelle vignette che ironizzano sul computerese, sul telefoninese, sull’smsese. Sul lessico elettronico. Prendete la vignetta di Francesco Natali che ha per protagonisti un figlio e una mamma. Figlio: «Mamma esco… Se mi cerchi mandami un sms, oppure loggati con Skype… il mio nick è parakul68, vado a postare un clip su Youtube… See you later!». Riflessione sconsolata della mamma: «Una volta si diceva solo: Mamma che palle!». Altra vignetta, questa volta di Migneco e Amio. Due ragazzi. Lui dice a lei: «Ieri ti ho cercata su Google». Lei: «E invece ero a casa di Gianna». Vignetta di Maramotti. Padre dà la buonanotte alla figlioletta che ha appena messo a letto (lei ha il computer poggiato sulle ginocchia): «Buonanotte… Se hai bisogno di un bicchier d’acqua mi trovi su www.cameradeigenitori.it!». Ma l’allarme generale lo lancia la Gialappa’s Band con una splendida (a suo modo geniale) lettera aperta al popolo degli sms. Eccola: «Amc di Smmrnd, ma sprtt amch d Smmrnd, the “msg 4 u” è: basta, non se ne può più! Ci avete sfinito con i vostri messaggini (sms, mms, msn…) fatti solo di consonanti: cmq per dire “comunque”, tt per dire “tutto” e xk per dire “perché”. Anzi: ci avt prpr frntmt i cgln!!! Che fine farà la nostra lingua? Non solo quella aulica di Dante e Manzoni, ma persino quella più prosaica e vernacolare di Totti e Di Pietro? Dobbiamo rassegnarci a tentare di decifrare comunicazioni più simili a codici fiscali che a frasi di senso compiuto?! Ebbene no: riprendiamoci la lingua, e quindi le vocali».

DALLA PARTE DELLE VOCALI
La difesa e l’elogio delle vocali è il cuore politico (ma sì!) della lettera aperta della Gialappa’s: «Perché le vocali (forse non ci avete mai fatto caso) sono calde, prorompenti, esprimono gli stati d’animo: sono le gioie e i dolori. Mentre le consonanti sono fredde, meccaniche, e capaci solo di esprimere pensiero, astrazioni». Con foga da comizio la Gialappa’s continua: «Le vocali sono tipiche dell’uomo (non è un caso che la parola uomo contenga 3 vocali e una sola consonante); mentre le consonanti sono tipiche del robot (3 consonanti e 2 vocali, e non sarà un caso nemmeno questo)». L’elogio delle vocali diventa l’elogio dei sentimenti: «Provate un po’ a pensare che suoni emettete, istintivamente, quando provate dolore (“ahia!”, “ohiohi!”, etc.), e quando vi divertite (“ahahahah!” e “wow!”, che si scrive così ma si pronuncia “uau!”); quando ce l’avete con qualcuno (“aòh!” se siete romani, “uhei!” se siete milanesi) e quando siete piacevolmente sorpresi (“oeuh!”, oppure “ahàa!”); per non parlare, poi, dei suoni che fate quando trombate (se all’acme del piacere emettete consonanti siete dei veri pervertiti; oppure avete bisogno di un buon logopedista…)». Negli anni Cinquanta e Sessanta l’italiano lo salvarono Carosio, Bongiorno, la Berti e Liala. Ora l’italiano (almeno dagli sms) lo sta salvando la Gialappa’s Band.

Antonio D'Orrico
03 settembre 2008